La fine di Joe Goldberg: Netflix chiude You e punta il dito sul fascino oscuro dei serial killer

Screenshot 2025 04 30 115337 Screenshot 2025 04 30 115337

La quinta stagione mette un punto alla serie cult con Penn Badgley: tra ossessioni, giustizia e colpi di scena finali

Fin dal primo episodio era chiaro il motivo per cui Netflix avesse puntato tutto su YOU: al pubblico piacciono i cattivi, soprattutto se hanno il volto familiare di attori come Penn Badgley, ex idolo teen di Gossip Girl. Il racconto dello stalker colto e seduttivo aveva incuriosito, ma col passare delle stagioni si era trasformato in qualcosa di diverso: una spirale sempre più surreale, con Joe Goldberg perso tra delitti e scelte di scrittura sempre più forzate. Ora, dopo anni di crimini rimasti impuniti, la serie arriva alla fine definitiva, provando a chiudere i conti — narrativi e morali — con il suo protagonista.

Da eroe per sbaglio a mostro romantico

La quinta stagione si apre con un Joe apparentemente redento, tornato a New York al fianco della potente Kate Lockwood, in quella che sembra una nuova vita pulita. La fedina penale è immacolata, i fantasmi del passato sembrano rimossi. Ma bastano pochi episodi per capire che il lieto fine è un’illusione. L’ingresso in scena di Bronte (interpretata da Madeline Brewer) rompe l’equilibrio: è lei il personaggio chiave che riporta a galla i peccati del passato. La sua missione è precisa: guadagnarsi la fiducia di Joe per incastrarlo, restituendo giustizia a Beck, la donna della prima stagione, uccisa brutalmente e poi fatta sparire anche nella memoria collettiva.

Bronte riesce a ottenere da Joe una confessione, lo costringe a riscrivere il manoscritto di Beck, eliminando ogni intervento manipolatorio che ne aveva distorto la voce. È il primo vero momento in cui il protagonista si confronta con il male compiuto e ne prende coscienza. Una resa che arriva tardi, ma arriva.

Il finale di stagione e l’ultima condanna

Alla fine, Bronte lo incastra. Joe, ormai alle strette, la implora di ucciderlo piuttosto che lasciarlo vivere nel rimorso e nella prigione dei suoi crimini. Ma la giustizia arriva comunque. E con lei anche una riflessione scomoda. Mentre sconta l’ergastolo in isolamento, Joe riceve centinaia di lettere d’amore, testimonianza del fascino che continua a esercitare, anche dopo tutto ciò che ha fatto. È qui che la serie spinge il pubblico a interrogarsi: chi è davvero il colpevole? Joe, o chi ha continuato a seguirlo, a simpatizzare per lui, a romantizzare i suoi delitti?

Il dubbio si insinua, forte e disturbante. Joe si domanda se il problema sia lui, o noi spettatori, pronti ad assolvere ogni mostro se ben scritto, se carismatico, se narrato con intelligenza. Gli sceneggiatori chiudono YOU con una domanda invece che con una risposta: quanto siamo complici nella mitizzazione del male?

Una chiusura provocatoria, forse la più onesta

YOU si conclude lasciando una critica esplicita alla cultura popolare, a quella tendenza tutta contemporanea di trasformare i serial killer in icone, di renderli protagonisti affascinanti, quasi giustificati. Un meccanismo che ha portato casi reali, come quello di Luigi Mangione, ad attirare folle di fan e follower, più che indignazione.

Il merito della stagione finale è proprio questo: riportare il focus sul punto di partenza, senza assolvere il protagonista. Joe Goldberg non esce da eroe, né da martire. Esce da colpevole. E YOU, almeno nell’ultima scena, non chiede più empatia, ma consapevolezza.

Add a comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *